Un solo giorno a Ceuse

02-09-2009

In ferie in Francia, magari si fa un passaggio a Ceuse, ma non per arrampicare, che mette soggezione, solo per guardare i big e godere dell'ambiente. Ecco, sì, solo per questo, un giorno solo e basta...

A Ceuse volevo solo passare: in fondo è in una bella zona, di sicuro è una falesia stratosferica, ma i gradi non sono molto accessibili a Vera che arrampica da 8 mesi, né i racconti sulla chiodatura mi invogliano granché a sperimentarne gli effetti. Partiremo dall'Italia, capiteremo nei dintorni, saliremo quella bestia di avvicinamento himalayano che tutti descrivono come letale, e guarderemo i grandi arrampicare, come bambini che osservano a bocca aperta qualcuno fare "grandi cose da grande".

Alla fine del primo giorno di viaggio piantamo tenda a Gap sul finire della giornata. La foschia è abbastanza densa e di Ceuse nemmeno l'ombra. Una bella cenetta in centro, una dormita rilassante al fresco del vento che scendo dalle Alpi, ed un risveglio perplesso al grido dei tre pavoni che girano liberi tra le piazzole. Usciamo dalla tenda, il caffé si libera nervoso nell'aria ed il fornelletto ruggisce piano. Andiamo a Ceuse oggi e per sicurezza, dài su, portiamo il materiale. Usciamo in strada e la foschia è scomparsa lasciando un cielo enorme e limpido. Davanti a noi c'è una montagna conica. In testa ha una corona bianca illuminata dal sole. A bocca aperta, immobili ed estasiati, ci guardiamo e torniamo a fissare la meraviglia: Dio mio, quella è Ceuse. Non c'è Covolo, Classica, Millennium o Aguglia che tengano: un muro bianco, semicircolare, perfetto; chilometri di perfezione. Avvicinandoci passiamo per la Freissinouse, Sigoyer, poi il Col des Guerins, poi lasciamo la macchina e ci facciamo piccoli, nel parcheggio, a vedere questi angeli nerboruti, magri e tirati, che pascolano placidi uscendo da Westfalia e furgoni di ogni genere. Piccoli noi con qualche rotolo sui fianchi, con le mani che stringono al massimo le prese di qualche fortuito 7a, molto più facilmente di qualche comodo 6a, 6b, 6c.

Carichi come muli il cartello Falaise Direct è imperativo, e lo seguiamo. Arranchiamo sotto il sole e sulla sabbia scivolosa del primo tratto; arranchiamo tra mosche, radici e sassi nel bosco, arriviamo alla forestale e riprendiamo in salita arrancando ancora nel bosco e siamo logori e disfatti. Nella fretta, nell'impazienza che ci ha invaso la mente, abbiamo in corpo un caffé e due croissant e nello zaino una bottiglia d'acqua: nient'altro. Il sentiero si inerpica (solo l'ultimo giorno scopriremo che se prendi la forestale per 50 metri a destra da lì inizia un comodo sentiero che con 10 minuti in più ma 500 kcalorie e un litro di sudore risparmiati, ti porta in cima evitando i vari Hilary's steps del falaise direct che, a goccia d'acqua, parte dalla forestale e va alla cengia erbosa sommitale).

Mentre ci avviciniamo i muri occhieggiano tra gli alberi e facciamo foto tutte identiche a ripetizione: non possiamo credere a ciò che vediamo, non possiamo credere alla perfezione dei muri che si fanno sempre più grandi, non potevamo immaginare che esistesse qualcosa di così maestoso, immenso, regale, algido e sublime. Incontriamo dei ragazzi di Piacenza che ci guidano per il sentiero orizzontale e tra cartelli e sassi vediamo snocciolati nomi che ci danno brividi di emozione: Cascade, Berlin, e poi Biographie. Qui saliamo, e sotto Biographie arriviamo. La colata è blu, si vedono i fissi e si vedono bianche le ultime prese prima di quel buco sulla sinistra dove Sharma arriva, urla, e si ricompone per chiudere la sua Realizzazione. Siamo annichiliti, siamo beati.

La prima persona che saluto è un ragazzo a torso nudo che risponde al mio "bonjour" con "buongiorno, io so chi sei, sei Tita l'amico di Fulvio". Così scopriamo che il Bru, l'Angie e la fantastica cagnetta Lijuba (con doppio marsupio canino sul dorso per portarsi su la sua acqua ed i suoi croccantini) avevano letto del nostro itinerario sul forum che legogno (senza scrivere) e si aspettavano di vederci arrivare. Ragazzi davvero piacevoli, una coppia davvero bella che ci farà compagnia di giorno e di sera nei 6 giorni totali che, a discapito degli intenti iniziali, passeremo a Ceuse.

Il sole gira e si migra al Demi Lune. La processione è una coreografia istintiva ed inebriante. Vedi Graham, Moroni e Woods, vedi ragazzi e ragazze normali o, soprattutto, con fisici da Men's Health che uno dopo l'altro si incastrano nella cengia sotto Biographie e mangiano, bevono, chiacchierano (noi, a pancia vuota e bocca asciutta, quel giorno resisteremo sulla scorta dell'entusiasmo, ma davvero è un miracolo come non siamo svenuti affamati e disidratati). Gli alianti passano vicinissimi sibilando, l'aquila arriva parallela al muro, poi curva e parcheggia in volo, proprio come una macchina che arrivi al parcheggio del Centro Nova. Solo che lei sta lì, a 50 metri da noi, immobile per minuti in aria correggendo la posizione con la coda e le remiganti, la testa protesa in basso a osservare minuziosamente il suolo ed i manicaretti che Pacha Mama le vorrà offrire. Inebrinte sempre di più.

Al Demi Lune metto l'imbrago, Vera si fa piccola per la tensione ed io anche. Le mani sono fredde, i piedi di ghisa, e parto su Sea, Sex and sun. Al terzo fix sono appeso, pago la contrazione con cui parto e qui i fix sono ancora ben vicini. Lassù, davolo, ne vedo uno, e poi ne vedo un altro 4 metri più in alto e 2 metri più a sinistra, oltre la cengetta oltre la pancetta. Diavolo, ce ne sarà uno in mezzo, no? Scoprirò di no, ma scoprirò anche che Ceuse impone di arrampicare o non arrampicare. In che senso? Semplice: a poco servono i riposi al fix per studiare la strada che ti porti al successivo, perché spesso riposi col fix alla caviglia e per il successivo mancano ancora tre metri. Così o arrampichi oppure no, semplice. Nel mio piccolo, finché sto qui sui 6a (morbidi per il grado morbido? Morbidi perché la roccia è splendida? Non lo so, ma morbidi, non lo so, ma splendidi), scopro che arrampico. Mi esalta, inebria e soddisfa scoprirmi a guardare l'ultima protezione un metro sotto i piedi e poi voltarmi a vedere le prossime prese, i successivi appoggi, liquidando l'ultimo rinvio passato con "non è un problema mio, non ci posso fare niente, vediamo qui com'è che posso andare avanti".

Finito di arrampicare, verso il tramonto, in cengia fa fresco; a più riprese incrocio Graham che sorride e Moroni che saluta. Vedo Woods imprecare su Biographie "I hate this section, I hate this fucking greasy section! For me it's here the crux, I hate it, I hate it!" a metà della via, passato il boulder iniziale ma prima di arrivare alle sequenze che Sharma ha reso famose. Scendiamo stanchi ma non devastati, salutiamo il Bru e L'Angie e Lijuba, e torniamo al campeggio iniziando ad esalare ogni tanto il fil-rouge dei 20 giorni di viaggio: "Aahhh, Ceuse...". Questo giorno mi ha portato 3 6a. Di più ho paura.

Il secondo giorno mi porterà 2 6a, solo uno diverso, e un giro da due su Saint George Picos dopo mezz'ora di risate con gli spagnoli che, dai suoi due primi fix, provano a tagliare a destra su una nuova via. Circo Medrano gratis, tra sfottò e risate, mentre Graham cade al secondo fix di La Parte du Diable che Moroni ha portato in libera e a vista fino a due terzi. Moroni ha un sorriso che gli apre la bella faccia aperta in due.

Il terzo giorno, l'ultimo, migriamo a Un pont sur L'Infini. Angie parte su La Reine des Pommes ma lei, piccolina (ma che si tiene tanto) ha raramente al primo giro una convinzione pari a quanto stringe. Così si cala prima di moschettonare il rinvio sopra l'unica sequenza un po' più dura del resto, continuo e mai boulderoso, della via. Il Bru mi dice "vai Andrea tocca a te" ed io, che ero lì a vedere loro arrampicare, mi dico "ma io non sono mica qui per provare un 7a". Qualcosa mi trascina e spinge, faccio il nodo e metto le scarpe e faccio resting all'ultimo rinvio lasciato in parete. O meglio, un piccolo volo. Ora devo arrampicare e pure mettere giù i rinvii. Arrivo al successivo dopo una bella lotta che ricordo anche adesso benissimo: sali, buona destra e sinistra a spallare la radice della fessura bianca, con la destra incroci su un buco svaso nel quale tre dita però si incastrano abbastanza, alzi i piedi e ti trasferisci a sinistra, prendi un buon buco svaso di sinistra e sali coi piedi, destra su un buco meno buono e su i piedi, sinistra su un buchetto netto ma più piccolo e su tanto i piedi; poi sei diritto, hai il fix un metro e mezzo sotto, un metro a destra, e ti allunghi con la destra, con la sinistra tieni una crostina svasa e bianca, e arrivi a un verticalone svaso di destro, spingi sui piedi e c'è una manettona tonda di sinistra. Faccio tutto in apnea, il fix sotto che si allontana, agguanto l'ultima presa sinistra con la disperazione ma sono così pieno che sento che scivola; tremando passo il rinvio, provo a tirare fiori la corda ma volare due metri lontano dal fix con la corda in mano... meglio di no. Agguanto il rinvio, lo moschetto e mi appendo. Dopo di quello ci sono buoni buchi, un semiriposo, una sequenza abbastanza intensa, e poi gli ultimi due fix lunghi dove le difficoltà cadono. In cima mi sposto a destra verso un lamone tondo che porta in catena, piede in placca e tallone destro che lo tiene, manette buone, lateralizzazioni comode due metri sopra il fix, e poi la catena.

Il giorno dopo partiamo per girare la Francia e la Spagna. Una settimana dopo, devastati dal caldo e dalla marea di gente che occupa ogni pensione, hotel, campeggio, e strada, riapprodiamo al nostro amato Campeggio di Gap. La mattina dopo proverò St. George Picos: se passo il boulder iniziale gli altri fix sono ogni 5-6 metri ma diventa 6a, massimo qualche passo di 6b. Un 6a di riscaldo, un altro, parto e sul blocco le dita si aprono e i tendini si stirano: Ahiaaaa! Bru toglierà i rinvii, il giorno dopo la mano dolorante ci spingerà a prendere il sole al lago di Serre Ponçon. Il giorno dopo ancora siamo di nuovo a Ceuse. Due 6a e poi monto La Reine des Pommes. Prima sezione ok, per arrivare al riposo del diedrino attraverso più basso: prese migliori ma un bell'incrocio di piedi sul nulla. Poi il riposo dove il Bru mi dice "qui devi tornare nuovo". Poi moschetto il successivo e appena all'inizio della sequenza dura mi incasino, volo un po', e poi sono appeso. Mi fermerò ed incasinerò anche sopra, ma scoprirò un metodo buono per la rinviata lunga dopo la sequenza dura (il metodo è: arrampicare fluido e poco contatto e usare i piedi: ma va'!!!). Mi incasino tanto nella sequenza per uscire dall'ultima pancetta e sia in salita sia dopo in discesa non capisco bene il metodo. All'ultimo tentativo in top-rope lo trovo, ma quando sono alla base l'ho già dimenticato.

Bru e Angie l'indomani ripartono, io sono molto indeciso e anzi penso che non la proverò, ma mi rompe dare forfait di fronte alla disponibilità del Bru e così lascio i rinvii sulla via, lasciamo corde e attrezzatura in un saccone, e scendiamo leggeri. Il giorno dopo mi devo mettere su questo 7a con 2-3 rinviate davvero lunghette e questa volta alla sicura Vera, che poverina si impanica più di me quando sono in difficoltà o, forse, sono io che sono impanicato e poco confidente. Vera sorride, scendiamo il sentiero a rotta di collo e al buio, e al Col des Guerins Bru e Angie ci offrono una birra che beviamo contemplando la stellata incredibile che bacia Ceuse ed i puntini luminosi di due pazzi che ancora arrampicano con le frontali.

L'indomani siamo in cengia. Tutto è bello, magico e inebriante come sempre. Facciamo un 6a dei soliti e andiamo in cerca di un altro: ne troviamo due con il primo fix sulla luna e passiamo, uno che ci attrae ma è impegnato. "Vuoi fare Carte Noire di nuovo o aspettiamo qui?" le chiedo. Vera fa spalluce, poi decide di aspettare. Ma le due ragazze sono appena partite e la tipa non pare un fulmine. Mi coglie un pensiero: "perché non andiamo là, faccio un giro tanto ne ho solo uno, e poi torniamo qua?". Vera sorride e dice sì. I rinvii sono sempre lì, intorno non c'è nessuno, io ho paura; io ho voglia; io sento di non aver alcuna speranza: mi manca la sequenza bassa dal diedrino alla rinviata lunga, dovrò improvvisare perché soprattutto all'inizio ed alla fine non la ricordo. Sarò ghisato e non riposo abbastanza nei buconi sopra. Non ho idea di come sono passato sui passi più sopra, so che devo andare a prendere la puntina di sinistro, spallarla, e prendere la presa buonotta di destra. Lì è chiusa la via, poi c'è lo spostamento a destra e il lamone tondo da tallonare. Però non ricordo come si arrivi alla puntina di sinistra, cavolo.

Aspetto, mi rilasso, e come mi aveva detto il Bru "parto quando me lo sento, non un minuto prima, non un istante dopo". Parto. Sono contratto ma mi sforzo di stringere le prese solo con la forza necessaria. Buchi buoni, buchi svasi e prese piatte, un'arcuatina per alzare tanto un piede, il trasferimento a sinistra coi piedi spalmati mi mette in difficoltà, arrivo al riposo nel diedrino. Qui il Bru diceva "devi tornare come nuovo". Prima una mano, poi l'altra, aspetto. E aspetto. Quando penso di partire anziché partire aspetto e cerco una posizione più comoda. Dopo dieci minuti sono quasi nuovo. Da qui in avanti ci sono due fix nei prossimi 6 metri, al primo so arrivare, per il secondo mi manca il 60% dei movimenti. Non ho speranze, ma ho voglia di arrampicare. E se volo? Se volo ci pensa Vera, non è un problema mio. Parto, prendo bene la fine del diedro, destra, sinistra, il buchetto per il semi-incrocio che mi butta s inistra, qui mi incasino, sento la ghisa che sale, so che devo scappare e ricordo che dovevo prendere quella lì di sinistra NON DI DESTRO. Ci metto la sinistra, sono impastoiato troppo disteso, proviamo così; piede sul niente a destra e l'altro... l'altro lo buttavo là alla radice della fessura bianca. Lo butto, poi li centralizzo, diavolo vado su, il verticale svaso, il presotto svaso di sinistra, moschetto, respiro e sono ghisato ma non alla morte. Mi trasferisco a destra, qui le prese son buone ma io son ghisato ed il primo movimento è con i piedi in spalmo, stringo i denti, mi bevo l'acido lattico che mi invade gli avambracci, moschetto il prossimo e arrivo al bucone. Il bucone dove so che non saprò recuperare abbastanza. Ma ci provo, ci provo che è la prima volta che arrivo qui senza resting o voletto. E così sperimento tutti gli appoggi, i microagganci di punta, spallate, accosciate, mi inginocchio, incastro una mano e la tiro come un nut, e piano piano recupero, recupero un po' ma recupero. Guardo sempre più attento il resto e ricordo quei tre buchetti. Ricordo intanto il vascone sul quale so che devo buttare un piede: so che là sarò nella cacca e non saprò cosa fare e ora ricordo, quando sono poi passato il segreto era... fregarsene del fix, buttare il piede destro nel buco alto ed il sinistro sopra il vascone; da lì si ragiona. So che se arrivo al cornetto ho fatto il 95% ma penso che forse non ce la farò. Però non ho ansia, non ho necessità di chiuderla, sento solo una spinta forte e calma ad arrampicare al mio meglio, a dare il tutto ma senza foga esagrata: voglio fare il meglio possibile e cioè riposare finché posso e quanto riesco, essere preciso, essere fluido, e se mi trovo nella cacca... butta i piedi su e spingi!

Parto. Trovo la manettina sinistra, trovo quella destra, trovo il buchetto svaso e cattivo con cui alzarmi, sento l'avambraccio che si riempie ed è il momento: butta su il destro! Butta il sinistro su su su nel vascone, SPINGI! Spingo, sono in piedi, non più fatica, là c'è la manetta tonda per la destra, qui c'è una scaglietta infame per la sinistra, sono ghisato e ho tre movimenti duretti per me, non ce la farò mai qui non ho mai riposato! Ma magari si può? Che dici Andrea, forse si puà riposare anche qui? Prima la destra, scrollo la sinistra, poi la sinistra stringe e mi tiene in equilibrio su questo scassetto liscio e bianco dove la punta dei polpastrelli fa poca presa. Ma mi tiene in equilibrio abbastanza da sghisare un po' la destra. Vado avanti così, che sembro un vigile a dirigere il traffico, e miracolo: recupero un po'! E così parto, così poi indovino la sequenza, arrivo al cornetto di sinistro e lo spallo basso e di lato, sto quasi accosciato e rinvio, mi allungo e prendo la presona tonda e liscia che è grande ma anche un po' ghisante, e mi trasferisco verso destra, salgo verso prese più buone, Dio non ci credo non ci credo sono fuori non ci credo e vado in su, vado a destra, butto una mano e becco la lamona, un bell'appoggio molto a destra ma ci metto il sinistro che così non sono omolaterale, che così col destro tallono e SONO FUORI SONO FUORI SONO FUORI! Respiro, aspetto, recupero anche se non ne ho bisogno: niente mi può tirare giù, ma non voglio essere precipitoso: mancano 5 metri e sono facili, li arrampico lentissimo e controllatissimo, butto il sisnistro lassù - respiro a fondo - prendo con la mano la presa ruvida lassù - respiro tanto a fondo - spalmo il destro là di là - respiro tanto e sento qualcosa che mi gorgoglia dentro - prendo la corda - respiro respiro respiro - e la passo in catena.

Silenzio.
Stringo i pugni e li agito due o tre volte.
Guardo giù e Vera mi dice "braaavo".
Io vorrei rispondere ma sono a Ceuse, sono in cima al secondo 7a della mia vita, sono in catena ad una via che ero sicuro non avrei mai liberato, c'è una luce perfetta, vedo i profili dei monti e vedo i profili di arrampicatori stagliati nel cielo, appesi alla corda o aggrappati al prossimo movimento, e gli occhi mi si riempono di lacrime, se parlo scoppio a piangere. Un sogno, un sogno, un sogno che adesso è una sensazione perfetta, rotonda, calda e vuota di pensiero, di aspettatiuve e di progetti: è un grande cielo limpido che mi è fiottato dentro lo stomaco, ed io piango e un po' singhiozzo mentre Vera mi cala e quando tocco terra ci abbracciamo e abbiamo tutti e due gli occhi bagnati ed io tremo, mi siedo, mi guardo intorno, ci sorridiamo, ci abbracciamo, e per un po', qualche minuto o poche ore, la Grazia mi avvolge e mi bea.

Un 7a.
Un 7a facile che meglio sarebbe 6c+.
Per mille persone è a ogni stagione un facile scaldino o nemmeno.
Io ho incatenato un sogno ed il sogno si è alzato in volo e si è diffuso in questo cielo meraviglioso.
Amo Ceuse perché o arrampichi o non arrampichi. Ma se arrampichi lo fai per il solo motivo giusto: perché hai voglia di arrampicare.

Grazie a Vera, e al Bru e all'Angie.
Grazie a me stesso perché mi sono regalato un sogno che farà ridere gli altri nell'oggettività della sua piccolezza, ma che per me è enorme.

La reine des pommes (La regina delle mele) - Un pont sur l'infini - Ceuse. E prima di partire Vera mi guardava, guardava il panorama, e tranquilla mangiava la sua mela... Torna alla lista

Commenti

  • Whooooow! Grande!!! Hai reso divinamente... quasi quasi mi sembrava di vederti! Complimenti!!

    02-09-2009

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    Anonimo:
    Grazie Tita,a leggere le tue impressioni ed emozioni gli occhi mi si son riempiti di lacrime pure a me...sarà che Ceuse un pò,un bel pò, già mi manca...

    02-09-2009

  • Grande Tita!!Veramente bello il tuo racconto!

    10-09-2009

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    Anonimo:
    Ogni tanto lo rileggo. Bellissimo.

    22-09-2009